Il Sospetto

Tra una settimana compio quarant’anni.

Anche se chi mi conosce dice che sono rimasta la stessa ragazza di vent’anni fa, ci sono delle mattine in cui mi guardo allo specchio e mi vedo tutti i difetti del mondo: me ne vedo ancor di più dal giorno in cui ho scoperto che mio marito mi tradisce. Inizialmente pensavo fosse una mia paranoia: sono sempre stata molto gelosa, mio marito è il classico uomo che farebbe perdere la testa anche a una suora laica: intelligente, ben posizionato, bello, e adesso che i suoi capelli stanno diventando sale e pepe anche affascinante. Poi invece mi sono resa conto che i miei sospetti erano fondati. Lui ha un lavoro che lo porta molto in giro, fa l’agente di commercio per un noto brand luxury di profumeria, ha charme, eleganza, simpatia, e una parlantina strepitosa, la stessa con cui ventidue anni fa mi fece capitolare: proprio io, che non credevo nell’amore, che volevo realizzarmi nel lavoro prima di avere una famiglia, che non sopportavo le convenzioni e le cose programmate, nel giro di due anni mi ritrovai sposata, e ben presto anche mamma di due bambini: Elettra, che ora ha sedici anni, mi sobbarca di tutte le rotture di coglioni tipiche delle adolescenti e che è esattamente come ero io alla sua età, e Giacomo, che di anni ne ha quattordici e vuole diventare un influencer pieno di soldi e di sponsor per non lavorare un solo giorno nella sua vita. Non sono mai stata la classica donnetta che se ha dei dubbi circa la fedeltà del proprio uomo va a controllargli il cellulare o il profilo Facebook, anche se devo dire che molto spesso la tentazione c’è stata.

Credits: Pixabay
Credits: Pixabay

La prima volta mi capitò con una collega del liceo dove insegno inglese: un’insegnante di storia dell’arte sulla cinquantina, molto chiacchierata per una sua presunta relazione con il vice preside, una signora ancora piacente che contrastava il passare del tempo con regolari sedute dal medico estetico; una di quelle che le vedi e dici ‘Un’altra punturina e diventa Roger Rabbit!’, che più di una volta, mentre mio marito mi aspettava all’uscita da scuola, lo aveva ‘agganciato’ con la scusa di essere interessata ai prodotti di bellezza del brand che lui rappresenta tirando fuori tutto il suo repertorio da sciantosa e anche un po’ troppe tette (rifatte) dalla scollatura. Era bastato un mio sguardo per incenerirla.

Un’altra volta invece i miei sospetti erano caduti su una ragazza che aveva una profumeria in zona Tiburtina: il suo chiamare continuamente mio marito al telefono mi era parso talmente strano che ero arrivata ad appostarmi con la macchina nei pressi del suo negozio. Soana, così si chiamava, era una trentenne iper lampadata e iper palestrata, pantaloni zebrati a vita bassa a mostrare gli addominali anche con la neve, lunghe treccine talmente nere da sembrare che non avesse risciacquato del tutto la tintura, una geisha tatuata a coprirle gran parte della schiena. Quando l’avevo vista avevo pensato che forse era proprio il suo amore per l’Oriente a far sì che si truccasse come un personaggio del teatro Kabuki, poi avevo notato il lupacchiotto della Roma con la scritta SPQR che aveva sull’avambraccio destro, le unghie fucsia fluo con accent zebrato (come i pantaloni, attenzione!) ricostruite a mo’ di artiglio, e per finire le zeppe di 15 cm con cui arrancava tra gli scaffali, e mi ero detta che, forse, più che amante di certe culture era soltanto amante del culturismo, me n’ero tornata a casa pervasa dai sensi di colpa ed avevo accolto Fabrizio con una cenetta speciale, per farmi perdonare qualcosa di cui lui non era al corrente ma che poi, tutto sommato, avevo fatto proprio a causa sua.

Odio chi dice non c’è due senza tre: la numero tre arrivò, e improvvisamente la mia vita non fu più la stessa: intelligente, colta quanto basta, chic e sobria che manco Kate Middleton, e molto molto magra, una di quelle tipe a cui il cappotto a doppio petto si chiude dal primo all’ultimo bottone anche se sotto mette camicia e maglione, una di quelle che anche se non è altissima le stanno bene le ballerine; neanche un filo di trucco, capelli castani, lisci naturali, mai fuori posto, una maledetta stronza insomma.

L’avevo conosciuta a una serata di gala per la presentazione di un profumo, Fabrizio aveva voluto a tutti i costi che lo accompagnassi, e per l’occasione mi aveva regalato un vestito rosso con lo spacco, alla Marilyn Monroe:

“Professoressa, con questo abito è strepitosa!” mi aveva detto guardandomi con ammirazione prima di uscire di casa.

Anche Elettra ne era rimasta entusiasta:

“Mamma, me lo presti per i sedici anni di Camilla? La devo far schiattare, quella buzzicona!!!”

“Vediamo…!” le avevo risposto trattenendo una risata.

Giacomo invece aveva espresso il suo consenso fotografandoci e postando l’immagine su Instagram: anche se a me l’idea che ci vedesse tutto il mondo non mi entusiasmava, lo lasciai fare. Amavo il fatto che fosse intraprendente, e amavo ancor più il fatto che fosse un sognatore.

Quando entrammo nella hall dell’albergo dove si sarebbe svolta la presentazione tutti gli occhi furono per noi, Fabrizio mi presentò ad alcuni nuovi colleghi che furono prodighi di complimenti e galanterie nei miei confronti: non mi ero mai sentita a mio agio con abiti sexy e tacchi molto alti, ma sapere di riuscire a riscuotere ancora tanti consensi nonostante nella sala ci fossero tante ventenni tirate a lustro mi fece passare subito tutte le insicurezze.

La situazione cambiò quando mio marito mi presentò lei, Chiara, la stronza: un tubino grigio stile Audrey Hepburn, decolté a tacco basso in tinta, una clutch Prada e capelli tenuti su da uno spillone in un raccolto morbido a coprire le orecchie.

Chiara mi guardò da capo a piedi, fissando lo sguardo sulla mia scollatura e poi tornando a guardarmi negli occhi con aria ironica:

“Ma che bella moglie che hai, Fabrizio – disse sorridendo a mio marito – tanti anni che ti conosco e me l’hai sempre tenuta nascosta…”

“Preferisco tenere per me la parte di vita che preferisco!” gli rispose lui sfoderando il suo solito, dannato sorriso disarmante. Uno a zero per me, pensai, ma quel ‘tanti anni che ti conosco’ non mi era piaciuto per niente.

La mia proverbiale gelosia mi aveva portato in passato a fare litigate colossali con Fabrizio, con tanto di lancio di libri, dizionari, interi pacchi di compiti in classe dei miei alunni che poi, a tempesta finita, dovevo raccogliere e suddividere di nuovo classe per classe. Visto che fino ad allora le mie scenate erano state tutte ingiustificate, mi ero ripromessa di non farne più, di imparare a gestire il mio autocontrollo ma soprattutto a fidarmi di ciò che Fabrizio mi diceva, ma quella sera faticai davvero a non perdere le staffe.

Credits: Pixabay

Prima che iniziasse la presentazione mi allontanai da mio marito e andai in bagno per sistemarmi il rossetto: aprii il cellulare e dovetti ascoltare quattro messaggi vocali di Elettra che mi chiese, in ordine:

20:30 – Mamma domani posso dormire da Camilla? Sta organizzando un pigiama party a un mese esatto dal suo compleanno e ha invitato tutte le femmine di classe nostra. Mi fai sapere appena puoi così le rispondo? Dimmi di sì, per favore!

20:38 – Nel caso tu mi risponda sì, posso mettere il tuo pigiama di seta azzurro? Nessuna delle mie amiche ne ha uno e le devo far rosicare, specie quella cretina di Martina che fa la scema con Luca.

20:42 – Ha appena chiamato Camilla, il pigiama party non si fa più.

20:45 – Ha chiamato Martina, il pigiama party si fa a casa sua, tanto se era sì per casa di Camilla è sì anche per casa di Martina, vero? Per il pigiama, meglio che mi presti quello di seta nera che ha il logo di Armani, che la mamma di Camilla è tranquilla ma la mamma di Martina è più stronza e snob della figlia.

“Fai come vuoi.” risposi laconica.

Sapeva che il fai come vuoi voleva dire sì. E iniziai a pregare per la sorte dei miei poveri pigiami indosso a quella pazza scalmanata di mia figlia.

Fu quando uscii dalla toilette che li vidi, a qualche metro da me: Fabrizio e Chiara sembravano molto complici: lui il solito piacione che stava abusando del savoir faire a cui di solito ricorreva per far breccia nelle sue clienti, lei, la gatta morta, tutta presa a ridere alle sue battute gettando la testa all’indietro a mo’ di ballerina di tango.

Mi prese un colpo e la mia immaginazione fervida prese il volo: già li vedevo a pranzo insieme alla faccia mia, a scambiarsi sms di nascosto sul telefonino, pensavo al giorno in cui Fabrizio mi avrebbe detto che mi lasciava per lei, alla faccia soddisfatta e ovviamente charmant con cui mi avrebbe guardato Chiara come a intendere ‘Hai delle belle tette e un gran fisico ma tuo marito ha preferito la semplicità’ e poi le loro vacanze, prima da soli e poi coi nostri figli, e poi tutta quella serie di pippe mentali che riesce a farsi solo una donna in preda alla gelosia e che, almeno per quella serata, decisi di accantonare per evitare di fare una scenata delle mie in mezzo a tutte quelle persone così distinte e fashion.

La mattina dopo Fabrizio uscì prima del solito, non fece nemmeno colazione a casa: era capitato altre volte durante il nostro matrimonio che iniziasse a lavorare prestissimo, ma ovviamente il tarlo che mi rodeva dentro dalla sera precedente mi fece temere il peggio.

“Amore, sbaglio o oggi hai il giorno libero?” mi chiese sulla porta; in camicia jeans e pantaloni bianchi era ancora più bello, e lo odiai per questo.

Mentii:

“Il mio giorno libero è domani, anzi devo sbrigarmi anch’io, a scuola mi aspetta una giornata d’inferno…” risposi negandogli il bacio veloce sulle labbra con cui usavamo salutarci.

Non ci è rimasto neanche male, pensai, segno evidente che è più importante il bacio che gli darà quella gatta morta…

Ero pazza di gelosia.

So che sono cose che non si fanno, che la privacy di ognuno di noi è sacra, e so anche che una donna con le palle non ricorre a questi mezzucci, e so anche di aver detto di non essere una di quelle donnette che controllano il cellulare se dubitano della fedeltà del proprio marito, ma il sospetto che Fabrizio mi tradisse stava diventando quasi una certezza: così accantonai le mie presunte palle, e quando Elettra e Giacomo uscirono per andare a scuola corsi ad accendere il pc di mio marito e andai a controllare la sua posta elettronica. Conoscevo la password perché spesso Fabrizio quando era fuori casa mi chiamava per farmi aprire al volo e leggere alcune mail che gli arrivavano dai clienti americani, quindi non ebbi problemi ad accedere.

Trovai tantissime mail pubblicitarie e di lavoro che ancora non erano state aperte; poi, finalmente, mi imbattei in ciò che cercavo.

Era un messaggio da parte di Chiara che diceva:

Ciao Fabrizio caro,

Sono contenta che la tua signora non sospetti nulla. Così almeno ci possiamo muovere con più disinvoltura. Mi raccomando, non fare o non dire nulla finché non te lo dico io, dammi tempo di sistemare le cose.

Ci vediamo domani dove sai, sempre alla stessa ora.

Un abbraccio,

Chiara.

Mi sentii crollare il mondo addosso: i miei sospetti erano fondati.

“Fabrizio caro…”

Fabrizio caro non ce l’ho mai chiamato nemmeno io in vent’anni di matrimonio, mo’ arriva ‘sta sgallettata e in un attimo si prende tutte le libertà di questo mondo…

Chiusi la mail e spensi il pc.

Avevo una gran voglia di piangere, ma la rabbia me lo impediva. Pensai al tradimento in sé stesso, che sì mi faceva male, ma che avrebbe fatto male ancor di più ai ragazzi: Elettra, così ribelle e tendenzialmente litigiosa, che reazione avrebbe avuto? E Giacomo, che era ancora relativamente ‘piccolo’ per vivere sulla propria pelle una situazione simile, che cosa avrebbe detto?

Pensando a loro cercai di restare lucida.

Ma se proprio dovevo assistere alla fine del mio matrimonio, volevo avere almeno la soddisfazione di coglierli sul fatto, per dirgliene quattro, a tutti e due: a lui, che probabilmente si fingeva ancora così innamorato di me per non destare sospetti, e a lei, che con il suo fare viscido si era messa tra di noi come la peggiore delle serpi, e che di sicuro si sarebbe giustificata dicendo che quello che provava per mio marito era ‘amore vero’. Magari citando anche qualche frase da Facebook e facendola sua.

Facendo una piccola ricerca su Internet dal mio telefonino ero riuscita a trovare l’indirizzo di Chiara: abitava nei pressi di Viale Mazzini, in una traversa interna. Nei giorni seguenti, quando non ero a scuola ero sempre appostata da qualche parte sotto casa sua, camuffata a dovere, per cercare di scoprire se si vedessero da lei.

Credits: Bitstrips

C’erano ben quattro bar nei dintorni, e in ognuno entravo ora con cappello e occhiali, ora in tuta col cappuccio, ora in jeans e camicia a quadri rubati a mio figlio con tanto di berretto da baseball dove nascondevo i capelli, ray ban e baffi finti, che un giorno mi si staccarono e caddero nel cappuccino che avevo ordinato e che riuscii a recuperare e ad appiccicare di nuovo sotto il mio naso senza che nessuno se ne accorgesse.

Mi vergognavo di me stessa ma la gelosia mi rodeva in testa come un tarlo nel legno.

Lei entrava ed usciva a orari regolari con la sua Fiat 500 color nocciola tenuta come un oracolo, ma di Fabrizio neanche l’ombra: ma un pomeriggio mentre stava uscendo dalla macchina il cellulare le squillò:

“Ciao Fabrizio! Che bella sorpresa! – rispose a voce alta – sono appena rientrata dal lavoro, faccio una doccia e ci vediamo tra un’ora al solito posto.”

Sparì a passi svelti nel portone del suo palazzo. Ebbi un tuffo al cuore.

Stava iniziando a fare buio. Le luci dei lampioni si stavano accendendo una ad una.

Non so che cosa mi prese, ma approfittando del fatto che nessuno poteva riconoscermi, finsi di passeggiare, passai davanti alla macchina di Chiara e con la chiave del cancello di casa mia le feci un solco lungo tutta la fiancata provando immediatamente una sensazione di sollievo al pensiero della sua faccia diafana non appena l’avrebbe visto.

Vai, vai dal carrozziere, brutta stronza!

La sera seguente raccolsi i capelli e li coprii con uno zucchetto in lana, misi la tuta, i miei soliti baffi finti e poi tirai su il cappuccio della felpa. Indossai il casco aperto che sopra il cappuccio e lo zucchetto mi faceva sembrare un fungo, e presa dalla rabbia e dalla gelosia salii sul mio vecchio Sì che usavo per andare all’università e che era poi diventato il mezzo ‘jolly’ della famiglia per traversare Roma in un attimo quando c’erano problemi di traffico.

Ora sapevo l’ora in cui i due maledetti si incontravano, era arrivato finalmente il momento di scoprirli e metterli di fronte alle loro responsabilità.

Chiara aveva indosso un impermeabile beige, calze color carne e delle orrende ballerine marroni, al braccio aveva una grossa borsa griffata che a occhio e croce poteva costare 400 euro e in mano il telefonino.

Non parve notare la fiancata graffiata, e mi dispiacque sinceramente che non lo avesse fatto. Entrò in macchina, mise in moto e fece manovra, partì ed io la seguii da lontano, cercando di non perderla di vista.

Dopo circa venti minuti imboccò una via che conoscevo bene e che avevo percorso con Fabrizio tantissime volte quando eravamo ragazzi, e cioè la strada che portava allo Zodiaco.

Era il posto dove mi aveva portato la sera in cui si era dichiarato, sotto un tappeto di stelle e con le mille luci di Roma che dal basso facevano da cornice.

Era il posto dove ci eravamo scambiati il primo bacio.

Era il posto dove mi aveva chiesto di sposarlo.

Era il posto dove gli avevo annunciato che sarei diventata mamma, prima di Elettra e poi di Giacomo.

Era il ‘nostro’ posto.

E a quanto pareva, sarebbe stato anche il posto dove tutto sarebbe finito.

Guidavo il motorino e piangevo come una ragazzina, davanti agli occhi mi scorrevano le immagini della nostra vita felice insieme, i momenti speciali di quando eravamo ragazzi e gli istanti meravigliosi della nostra vita di coppia. Avevo mal di stomaco, lo zucchetto in lana iniziava a farmi sudare, la cinghia del casco mi dava fastidio e sentivo forte la pressione dei capelli che avevo raccolto con un elastico al centro della testa, ma al pensiero di essere sul punto di scoprire quei due passava tutto. Chiara fermò la macchina proprio in prossimità del bar dello Zodiaco, scese e avanzò di qualche metro: Fabrizio era là, bello come il sole, il suo solito sorriso smagliante, gli occhi grigi che tante volte mi avevano guardato pieni d’amore che ora erano posati su di lei. In quel momento capii che cosa significasse provare l’istinto omicida.

Credits: Bitstrips

Si salutarono abbracciandosi e baciandosi sulle guance e lui le porse un piccolo mazzo di fiori. Non erano rose, ma erano comunque fiori che Fabrizio stava regalando a un’altra donna e non a me.

Rimasi di sasso.

Quando sedettero al tavolino del bar, non ce la feci più: parcheggiai il motorino ed avanzai verso di loro. Come in un film, vedevo prima noi seduti a quel tavolo tanti anni prima come due innamorati e poi loro, oggi, come due amanti clandestini.

Quando fui a qualche metro da loro, mi fermai e dissi a lui:

“Come hai potuto farmi questo?”

“Aspetta, amore…” Fabrizio si alzò e mi venne incontro.

“Non mi dire NON E’ COME PENSI perché si vede benissimo cosa sta succedendo tra te e questa gatta morta!”

Chiara si voltò e mi guardò con aria stupita: era palese che le venisse da ridere e si stava trattenendo. Oltre il danno anche la beffa, pensai, ma guarda questa stronza!

“Ti giuro che posso spiegarti…”

Mi salì una rabbia incontrollabile, iniziai a prenderlo a pacche sul petto, una, due, tre, quattro volte, gli mollai pure qualche calcio negli stinchi, e quando lo guardai mi accorsi che rideva, rideva di gusto, e ora anche Chiara rideva sonoramente.

“Dopo tutto quello che avete fatto alle mie spalle avete anche il coraggio di prendervi gioco di me?” gli dissi incazzata nera mentre Fabrizio cercava di fermare la mia furia tenendomi ferme le braccia.

“E tu, oltre a ridere come un pazzo permetti che questa sciacquetta, questa gatta morta rida di tua moglie?” continuai rivolta a lui, urlando come una pazza.

A questo punto intervenne Chiara:

“Si dà il caso che la sciacquetta, la gatta morta in questione, sia un’organizzatrice di eventi che tuo marito ha contattato per farti una sorpresa per i tuoi quarant’anni.”

Chiara tirò fuori dalla sua borsa griffata una cartellina: “Guarda, qua dentro c’è tutto il prospetto definitivo che dovevo fargli visionare per avere l’ok.”

“E si da il caso – continuò Fabrizio – che entrambi stavamo ridendo per il tuo look con tanto di baffi finti che poi mi spiegherai a casa.”

Mi vergognai come una ladra. Mai in vita mia avevo fatto una figura simile. Nemmeno mi ero resa conto di avere ancora indosso il mio travestimento da Eva Kant de noantri. In quel momento in me altalenarono tutta una serie di stati d’animo che mi fecero passare dal pianto al riso e poi di nuovo al pianto, mi sentii in colpa per aver dubitato nuovamente di Fabrizio, in colpa per aver reso Chiara vittima della mia gelosia e la sua macchina vittima della mia chiave (ma decisi di omettere questa parte della storia con mio marito, già sarebbe stata dura spiegare i pedinamenti con tanto di camuffamento, figuriamoci un atto vandalico!!)

“E visto che ho portato a Chiara dei fiori e so che mi chiederai perché – mi disse Fabrizio – l’ho fatto semplicemente per essere gentile con un’amica, perché oggi è il suo compleanno, ed è stata grande nell’organizzarti una fantastica festa per i tuoi quarant’anni con pochissimo tempo a disposizione!”.

Mi sentivo una cretina. E glielo dissi.

“E se ti stai chiedendo, perché ti conosco e so che te lo chiederai, perché ho deciso di incontrarla proprio nel nostro posto speciale, è solo perché so che è un posto non frequentato né da te né dai ragazzi e facilmente raggiungibile da dove abitiamo sia Chiara che noi.”

Lo abbracciai e gli chiesi scusa:

“Scusami tanto amore mio, la mia gelosia mi ha fatto sempre vedere cose che non esistevano, ma stavolta i presupposti c’erano tutti…”

Fabrizio mi tolse i baffi finti e mi diede un bacio:

“Mi sei sempre piaciuta proprio per la tua testa calda.”

“Stavolta è stata un po’ troppo calda…”

Andai a scusarmi anche con Chiara:

“Mi dispiace tanto di averti dato della sciacquetta e della gatta morta…”

Chiara sorrise:

“Tempo fa ti ho detto che conosco tuo marito da tanto tempo. Dai tempi dell’università, pensa. Abbiamo seguito insieme un master in marketing. Beh, non so se mi crederai, ma già a quei tempi quando mi parlava di te, gli occhi gli brillavano esattamente come in questo momento; ti amava e ti ama tantissimo. E quando qualche giorno fa ti ho finalmente conosciuta, mi sono resa conto che non poteva essere altrimenti.”

Credits: Pixabay

Ieri ho compiuto quarant’anni.

La festa che mio marito ha organizzato per il mio compleanno è stata favolosa: e devo ammettere che Chiara è stata una party planner eccezionale.

Per l’occasione Elettra ha avuto il permesso di indossare il mio abito rosso, e si è fatta scattare dal fratello un’infinità di foto che ha condiviso sui social ‘per far schiattare le amiche’. Giacomo si è presentato in giacca e cravatta. “Devo fare onore alla mamma più bella del mondo” mi ha detto abbracciandomi.

C’è una cosa che però Fabrizio e Chiara mi hanno nascosto e che ho scoperto a fine serata.

Dopo il taglio della torta Fabrizio, che, elegantissimo, era più bello di George Clooney, mi ha invitato a fare un giro sul mio vecchio Sì.

Abbiamo messo il casco e siamo partiti in giro per Roma, nella notte, due pazzi scatenati, lui in smoking, io con i tacchi a spillo e l’abito da sera color oro arrotolato fin sopra le ginocchia.

Fabrizio mi ha portata nuovamente allo Zodiaco.

Davanti al meraviglioso panorama di una Roma notturna quasi irreale, abbiamo trovato un tavolino con una bottiglia di champagne, due flute e una rosa rossa, a gambo lungo, e improvvisamente ho capito perché Fabrizio e Chiara si erano visti in quel posto per diversi giorni. Non c’è che dire, nell’organizzare il tutto Chiara si era davvero superata.

Dopo essere scesi dal motorino Fabrizio l’ha presa e me l’ha offerta inginocchiandosi:

“Ti amo dal primo momento che ti ho vista. Avevi un carattere difficile, pieno di angoli da smussare che nel tempo non solo sono rimasti tali, ma sono addirittura peggiorati.  Ma del resto, hai il nome di una combattente. Eri e sei ancora bellissima, nonostante tu pensi di avere tutti i difetti del mondo; quando andiamo in giro per la strada e tutti ti guardano mi fai sentire l’uomo più felice della terra, perché oltretutto sei anche brillante ed intelligente. Sei dannatamente gelosa, ma questo l’ho sempre saputo. Non ho mai desiderato di avere accanto un’altra donna se non te, e perciò, nello stesso posto in cui l’ho fatto vent’anni fa, e con la stessa agitazione, ti chiedo: Anita, vuoi sposarmi?”

Penso che anche voi che state leggendo avrete sentito la forza del mio sì, quella sera.

Tra qualche giorno Fabrizio ed io ci sposeremo di nuovo.

Quando penso a tutta la strada che abbiamo fatto insieme quasi non ci credo che accadrà ancora: sposarlo la prima volta per me è stato un sogno, eravamo giovanissimi, ci abbiamo creduto e il tempo ci ha dato ragione, ma farlo la seconda volta non è solo un sogno, è un’emozione che non si può descrivere a parole: bisogna solo fermarsi, e viverla, in tutta la sua meraviglia.

©2017 Raffaella Legname

All worldwide rights reserved.

‘IL SOSPETTO’ è una delle storie di donne che ho inserito in ‘TREDICI RACCONTI’.

Se vi è piaciuta condividetela pure, ma se ne volete leggere altre, il libro è in vendita su Amazon (formato cartaceo, e-book o Kindle) ma potete anche ordinarlo e ritirarlo in tutti i Mondadori Store. 

Grazie!

Firma Blog

4 pensieri riguardo “Il Sospetto

  1. un bel racconto ben strutturato su un tema assai comune; la gelosia, che hai trattato con molto arguzia e ironia.
    Complimenti.
    O.T. all’inizio pensavo a una storia vera tanto erano trattati con cura i dettagli

    Piace a 1 persona

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