Quando ero piccola la mia mamma mi portava spesso alla Standa di via Cola di Rienzo; ce l’avevamo vicino casa, e per me era come il Paese dei Balocchi: c’era veramente di tutto e non mi sarei mai stancata di girarla, tanto che una volta mi dovette trascinare via a forza. Fu proprio tra gli scaffali del reparto giocattoli che in uno di questi pomeriggi mi imbattei in lei, Barbie Superstar: era il 1977, avevo tre anni e rimasi folgorata da quell’abito da diva in raso fucsia e dal boa di tulle fucsia e argento, le scarpine in tinta, gli orecchini e l’anello in strass, quei capelli biondissimi che sembravano quelli di Marilyn Monroe ma più lunghi, e un piedistallo rosa a forma di stella in grado di farla stare in piedi.

Tirai fuori tutta la mia caparbietà e la mia capacità di rompere i coglioni che manco una goccia cinese, e praticamente costrinsi mamma a comperarmela. In seguito ebbi anche altre Barbie, ma quella mi restò impressa nel cuore: mi ricordava non solo un pomeriggio a spasso con mia madre, ma anche la felicità di un acquisto inaspettato e la mia soddisfazione di bambina di aver ottenuto qualcosa che mi piaceva tantissimo. Barbie Superstar girò per casa mia per molto tempo, e in quanto mia bambola preferita evitò lo scempio di cui furono vittima le altre mie Barbie finite coi capelli tagliati e colorati arcobaleno coi pennarelli Turbo. Passavo pomeriggi interi a pettinarla, cambiarla d’abito e ad ammirare il risultato ottenuto. La mia Barbie era bellissima, a lei avevo riservato solo abiti da sera, alcuni comperati alla Standa, altri cuciti da mamma utilizzando gli scarti delle stoffe e i veletti delle bomboniere.

Negli anni 70/80 noi bambine avevamo quasi tutte una o più Barbie a cui eravamo legate da un vincolo speciale: Barbie, nella sua versatilità, ci permetteva di sognare, fantasticare, viaggiare dal salotto di casa nostra, potevamo trasformarla a piacimento in astronauta, in dottoressa, in ballerina e in tutto ciò che ci suggeriva la fantasia. Poi qualcosa improvvisamente cambiò, e la ventata di ipocrisia che caratterizzò gli anni 90 e che ancora dura oggi spazzò via l’idea che noi bambine ci eravamo fatte della Barbie, e cioè che era una bambola con cui giocare e non una fonte di ispirazione per il futuro, se non per i vari mestieri a cui la delegavamo di volta in volta. Alcuni genitori rompipalle iniziarono a dire che questa bambola aveva misure improponibili se paragonata a una donna normale, e ne fecero modificare le caratteristiche fisiche: via le tette e il vitino da vespa per lasciare il posto ad un corpo adolescenziale, in modo tale da dare a tutte le bambine un modello diverso a cui identificarsi. Dopodiché tirarono fuori la Barbie in sovrappeso, che se non mi sbaglio si chiamava Happy to be myself (Felice di essere me stessa) perché altrimenti le ragazzine cicciottelle si sarebbero sentite inadeguate.

Personalmente in anni e anni di Barbie l’ultima cosa a cui pensavo quando ci giocavo era se un giorno avessi avuto le sue misure: ci fu un periodo, quando ero in quarta elementare, in cui ero ingrassata parecchio e non assomigliavo certo alla mia beniamina, ma non mi sono mai sognata di sentirmi a disagio perché la mia bambola preferita era diversa da me. Sarebbe stato come sentirsi inadeguate davanti a Topolino perché ha le orecchie grandi o a Heidi perché nel cartoon, nonostante corra senza scarpe dove le caprette oltre a fare ciao fanno la cacca, torna sempre a casa coi piedi lisci e puliti che manco dopo una fish pedicure.

Infine, in tempi di esaltazione delle donne curvy o oversize, il termine ‘Barbie’ iniziò a essere usato molto spesso come dispregiativo se non addirittura come insulto, per definire qualsiasi ragazza magra o normopeso che avesse un aspetto gradevole. Quello che però preoccupa di più è che ultimamente non esiste contesto in cui il ‘sembrare una Barbie’ non venga condannato: social, riviste, video musicali, addirittura alcune fiction tv lo sottintendono, anche se velatamente: io sono d’accordo che se una ragazza è in sovrappeso non la si può continuamente prendere in giro per il suo aspetto, ma a mio avviso è altrettanto vero che non si può far passare il messaggio che se una è magra e bionda deve essere necessariamente ‘disprezzata’ o ‘colpevolizzata’ di far sentire inadeguate tutte le altre. E ancora, non si deve dare della ‘Barbie’ a una ragazza o donna bionda e di bell’aspetto come per far capire che è scema: è una frase scontata, lo so, ma ribadisco che si può assomigliare a una Barbie ed avere un cervello che funziona, e sembrare un quadro di Botero ed avere la testa completamente vuota.
E voi che vestendovi di falso buonismo e indossando la toga dell’ipocrisia state facendo delle vere e proprie crociate per non far sentire inadeguate le persone che hanno problemi di accettazione personale, beh, magari aiutate queste persone ad accettarsi senza far venire i problemi a tutte le altre. Pensate, ogni tanto, che l’insulto, sia che venga lanciato contro una persona con difetti più o meno evidenti sia che venga rivolto a una persona di bell’aspetto, resta comunque un insulto, e fa male a prescindere. Altrimenti siete esattamente uguali alle persone contro cui puntate il dito, siete da biasimare come quelli che detestano tutto ciò che è ‘diverso’ e ‘politicamente scorretto’.
E soprattutto, pare che state a rosicà.
Alla prossima
La Bionda